GhostWire: Tokyo

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[RECENSIONE] Ghostwire: Tokyo

Immaginate la scena. Siete per strada camminando per il centro in una serata qualunque, quando all’improvviso una strana nebbia inizia a rincorrervi lungo la strada. E’ veloce e fitta, e sta ingoiando la città. Se ciò non bastasse a terrorizzarvi, il semplice tocco di questa nebbia fa sparire le persone, lasciando unicamente i loro vestiti e oggetti personali. Al loro posto appaiono creature mostruose, in cerca di anime da tormentare. Il quartiere nel quale state camminando è Shibuya, al centro di Tokyo con il suo caratteristico incrocio vicino alla statua di Hachiko. Ma il destino ha deciso che voi non sarete rapiti dalla nebbia, affidandovi il compito di salvatore della città.

Ghostwire Tokyo è la terza fatica di Tango Gameworks, creatura del leggendario Shinji Mikami, padre di Resident Evil e tanti altri.

Dopo i due The Evil Within, ben accolti dalla critica ma lontani dall’essere influenti quanto le produzioni Mikami del passato, la casa giapponese ha deciso di mischiare un po’ le carte in tavola, mantenendo una vena horror ma abbassando il survival in virtù di un action/adventure semi-open world.

La storia inizia con Akito, giovane abitante di Tokyo, ridotto in fin di vita dal misterioso attacco sulla città. Una presenza soprannaturale, KK, cerca di prendere possesso del corpo del ragazzo per fermare gli autori del tragico attentato, ma con sua sorpresa Akito è ancora vivo e poco disposto ad abbandonare il suo corpo a uno sconosciuto. Dopo qualche screzio iniziale, i due decidono di collaborare. Le motivazioni sono inizialmente diverse, Akito è interessato a salvare sua sorella, al momento in un ospedale del quartiere, mentre KK vuole principalmente fermare l’autore dell’avvenimento, un uomo misterioso con una maschera demoniaca. La storia le vedrà però velocemente convergere, e diventare un unico obiettivo: salvare la città e riportare indietro gli abitanti rapiti.

La storia di Ghostwire Tokyo è senza dubbio uno dei punti forti del prodotto Bethesda, unendo una certa dose di drammi familiari allo scenario apocalittico nel quale i protagonisti si ritrovano. Entrambi sembrano avere rimorsi sugli errori commessi in passato con i loro cari e il viaggio nei 6 capitoli di cui è composto vedrà i nostri eroi intenti a redimere se stessi oltre a salvare il mondo. I personaggi sono caratterizzati abbastanza bene, riuscendo ad evitare molti degli stereotipi che escono fuori nei prodotti giapponesi, complice anche l’ottimo doppiaggio in lingua originale. Lo svolgimento è fluido, a parte un paio di sezioni che sembrano messe lì unicamente per allungare un po’ il brodo, con un finale abbastanza soddisfacente anche se un po’ affrettato.

La presenza di KK dona ad Akito diversi poteri che vanno dalla possibilità di attaccare utilizzando poteri elementali al riuscire a vedere ciò che normalmente sfuggirebbe ad occhio umano. Poteri necessari in quanto la Tokyo della fatica Tango è piena zeppa di mostri messi lì per fermare la vostra avanzata. L’intera avventura si svolge in prima persona, ma con la possibilità di saltare e arrampicarsi, dando all’intera esperienza una verticalità inaspettata. Non siamo agli estremi di un Dying Light, ma è possibile esplorare Shibuya in lungo e in largo grazie all’agilità di Akito.

E parlando di ambientazione, la Shibuya ricreata in Ghostwire è fenomenale. Devo premettere che avendoci vissuto a pochi km di distanza, ho un debole per quelle strade che conosco alla perfezione, e poterle visitare virtualmente è un’esperienza sublime. L’area intorno alla stazione e le strade limitrofe sono una riproduzione quasi perfetta della zona reale, ovviamente con motivazioni dovute sia a gameplay che di copyright. Le motivazioni di gameplay includono sia l’inclusione di svariati mini templi che vanno purificati per dissolvere la nebbia delle zone limitrofe, sia il prendersi qualche concessione quando ci si allontana dal centro della città, per poter offrire scenari meno monotoni di un’area urbanisticamente molto densa. Quelle di copyright sono principalmente la rimozione di qualunque nome di negozi, ristoranti e palazzi.

Purtroppo a tutto ciò di positivo detto finora si contrappongono diversi punti negativi che minano seriamente l’esperienza. Il gameplay è purtroppo ripetitivo sotto tutti gli aspetti, dalle meccaniche di  combattimento al “loop” di gioco. L’idea di sparare poteri dalle dita è interessante, ma per qualche motivo i proiettili sembrano mancare di impatto, rendendo le varie schermaglie una lunga tortura nel quale bisogna colpire i nemici un ridicolo numero di volte per poterli eliminare. In aggiunta, le munizioni per i vostri poteri sono limitate e in combattimento con molti nemici a schermo sarete spesso obbligati nel ben mezzo dell’azione a cercarne altri, distruggendo alcuni oggetti disseminati per la zona. Se l’idea era quella di aggiungere un ulteriore elemento di difficoltà all’azione, il bersaglio è mancato.

A peggiorare tutto ci si mette un open world con missioni secondarie che non aggiungono nulla alla storia e che diventano ripetitive dopo le prime 2 o 3. Dopo i progressi del genere negli ultimi anni, quello che Ghostwire Tokyo offre semplicemente non basta. Il gameplay loop sembra uscito da un vecchio gioco Ubisoft: Vai al tempio, libera l’area e nuove icone appariranno sulla mappa. Dopo un po’ viene naturale volerle ignorare e concentrarsi sulla storia, dove almeno le vostre azioni hanno conseguenze.
Le altre attività secondarie saranno principalmente il collezionare spiriti e cercare collezionabili. Nessuna delle due attività particolarmente interessante.

Come ormai in qualunque gioco di qualunque genere, finendo missioni e sconfiggendo nemici otterrete esperienza che potrete usare per acquisire nuove abilità. Purtroppo nessuna di queste migliora il combattimento in modo notevole, con alcune che semplicemente sembra dovessero essere abilitate dall’inizio per abbassare il livello di frustrazione. Sarà anche possibile aumentare il numero di proiettili che potrete portare con voi trovando delle piccole statue disseminate per il mondo di gioco.

Tecnicamente Ghostwire Tokyo si presenta molto bene, con una direzione artistica notevole che conferma il talento di Tango Gameworks. Nonostante sia disponibile unicamente su PS5 e PC, non siamo di fronte a qualcosa che fa gridare alla next gen, ma i riflessi e le ombre in ray tracing aiutano a rendere l’intera città più viva. Focalizzandosi unicamente sulla storia, l’avventura vi intratterrà probabilmente per un 10 – 12 ore, facendo bene attenzione a non dilungarsi oltre il necessario.

Ghostwire Tokyo sa di occasione sprecata. A tirare le somme, è un prodotto che si fa giocare, ma il numero di idee mal realizzate delude chi si aspettava di più dalla terza fatica Tango. E’ una sorta di contraddizione, dove a punti altissimi come la realizzazione di Shibuya e la caratterizzazione di personaggi e nemici tirati fuori dal folklore giapponese, sono contrastati da gameplay e open world monotoni e per nulla innovativi. E sono contrastanti le sensazioni dopo averlo finito, rendendo difficile un parere obiettivo.
Per me non siamo molto al di sopra della sufficienza, ma sono abbastanza sicuro che per molti giocatori potrebbe trattarsi di una fantastica sorpresa. Magari non a prezzo pieno.

Recensione a cura di Sacha “Omeganex999” Morgese

Il Buono

  • Realizzazione fantastica di Shibuya e Tokyo in generale
  • Storia interessante e ben raccontata
  • Ottima rappresentazione del folklore giapponese

Il Cattivo

  • Combattimento ripetitivo
  • Open world monotono
  • Missioni secondarie terribili
7.5

Scritto da: Gerry "Pintur" Grosso

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